Convegno sull'abitare 2021. Roma, 8 e 9 maggio
La casa non è una merce, non è uno strumento di guadagno, non è un asset finanziario: la casa è un bene d'uso che deve essere garantito a chiunque al di là della sua situazione economica e patrimoniale. Da decenni ormai, è evidente come la questione abitativa non sia una "emergenza", ma una crisi strutturale determinata da politiche che hanno trasformato la casa, e più in generale l'abitare dentro lo spazio urbano, in un bene di scambio sottoposto alle esigenze di profitto della rendita e alle fluttuazioni del mercato.
Nemmeno l'esplosione della crisi finanziaria del 2008, determinata proprio dalla bolla dei mutui subprime sulle proprietà immobiliari ha determinato un cambio di rotta e di politiche. Mentre sfratti, sgomberi e pignoramenti impennavano in tutto il mondo, i vari governi globali, compreso quello italiano, hanno scelto di continuare a favorire la progressiva finanziarizzazione dell'abitare, la vendita e la privatizzazione del patrimonio pubblico, l'abolizione di qualsiasi forma di controllo pubblico sul mercato degli alloggi, contro ogni razionalità redistributiva e ogni logica di giustizia sociale.
In Italia, questi trend globali si sono intrecciati con la volontà di perseguire una discriminazione sempre più violenta della popolazione economicamente e socialmente più precaria, specialmente se migrante, sia attraverso un controllo sempre più stretto sullo spazio pubblico, che con strumenti amministrativi che negano i diritti fondamentali. In questi anni, una misura come l'Articolo 5 del Piano Casa Renzi-Lupi è arrivata a punire deliberatamente chi per necessità occupa alloggi lasciati vuoti, privando decine di migliaia di persone della residenza, mentre la politica degli sgomberi e degli sfratti senza soluzioni ha affrontato il bisogno di casa non come una questione socioeconomica impellente, ma come un problema di ordine pubblico.
Così le nostre città si dividono su linee di classe, molto spesso coincidenti con le linee razziali: aree dedicate all’industria degli affari, allo sfruttamento intensivo della presenza studentesca, al turismo – con le sue logiche escludenti a partire dalla trasformazione delle abitazioni in alloggi per affitti brevi– si oppongono a quartieri abitati dai più poveri, dai migranti, dal nuovo proletariato precarizzato, per i quali si costruiscono edifici di pessima qualità che vengono affittati a prezzi insostenibili. Ci si ostina a definire questi luoghi “periferie”, e a parlarne in termini di “problemi”, senza riconoscere che esse sono la città, la parte rimasta abitata, e viva, di metropoli sempre più vuote.
La drammaticità della crisi del Covid d'altro canto ha messo a nudo la logica perversa delle politiche abitative, costruite ad arte per spingere sempre più persone nelle mani della proprietà immobiliare, delle banche o direttamente per strada. Questa crisi dovrebbe imporre un deciso cambio di rotta, specialmente alla luce della centralità dell'abitare degno e accessibile per tutti e tutte come strumento di tutela della salute individuale e collettiva. Ci si aspetterebbe che le risorse del Next Generation EU, per esempio, venissero massicciamente convogliate dentro un nuovo piano ERP fondato sul riuso del patrimonio già esistente, promuovendo la vera sostenibilità ambientale attraverso lo zero consumo di suolo e la rimessa a disposizione degli immobili lasciati vuoti. Oppure ci si attenderebbero permanenti sostegni al reddito di quell'ampio mondo dell'inquilinato che, dal 30 giugno, rischia concretamente di finire in strada a causa della fine del blocco degli sfratti per morosità incolpevole, e per cui la mancanza di strumenti permanenti di supporto al reddito e di 'rent control' pubblico determinano il baratro della segregazione e della deprivazione abitativa.
Ad oggi, questo cambio di rotta deciso sembra ancora molto lontano: il terreno delle risorse europee rischia di diventare l'ennesima occasione per far prevalere concetti, opere e concessioni di facciata (ad esempio, quelli della transizione ecologica e dell'efficientamento energetico) a favore dei profitti della rendita immobiliare. Come hanno affermato in queste settimane le varie piazze, dai picchetti antisfratto, alle assemblee pubbliche, alla mobilitazione sotto il Mit, noi riteniamo invece che chi abita le città debbano essere i veri beneficiari di queste risorse, incardinando vere e proprie proposte di iniziativa popolare sull'abitare dentro un processo di contrattazione sociale che parta innanzitutto dalla capacità di attivazione, organizzazione e conflitto presente dentro i territori.
Per tutte queste ragioni, proponiamo per le giornate di sabato 8 e domenica 9 maggio due giorni di confronto dentro Metropoliz (via Prenestina 913) per costruire insieme la piattaforma della proposta di iniziativa popolare sull’abitare e le mobilitazioni delle prossime settimane, a partire dai cinque punti della mobilitazione transnazionale del 27 marzo.
Senza casa, non c'è salute!
CINQUE PUNTI, CINQUE TAVOLI TEMATICI:
1) Sfratti, sgomberi e controllo degli affitti
La risoluzione UE 2187 del 21/1/2021 invita i governi a intervenire per garantire l'eguaglianza abitativa, per evitare espulsioni e calmierare gli affitti, basandosi su un rapporto che considera "buone pratiche" le leggi municipali o regionali che stabiliscono un tetto massimo all'affitto (rentcontrol o rentcap, quali quelle approvate di recente dalle autorità a Berlino o Catalogna): nonostante la cattiva pubblicità, esse non producono diminuzione dell'offerta o della qualità degli alloggi. Oltre al blocco dell'esecuzione degli innumerevoli sfratti e sgomberi in preparazione per luglio 2021, e all'annullamento dei debiti accumulati da chi non ha potuto pagare l'affitto durante la pandemia, bisogna invertire la deregolamentazione della legge 431 del 1998, e cioè la liberalizzazione del mercato degli alloggi. C'è bisogno di una legge nazionale che stabilisca prezzi massimi per i canoni di affitto nelle aree urbane a forte pressione abitativa, anche sulla base del reddito delle persone, adattando al presente la tutela che garantiva l'equo canone. Le autorità locali devono stabilire un indice di prezzi che faccia calare ad almeno due terzi/metà gli affitti (si può ridefinire gli indici del canone concordato previsti dal tavolo sulla legge 431), ammettendo aumenti solo nel caso di investimenti sostanziali sugli immobili che ne migliorino la qualità. Contemporaneamente, gli investimenti pubblici per il miglioramento dell'edilizia residenziale, come quelli previsti dal superbonus 110%, devono essere condizionati al mantenimento dei canoni attuali, perché il finanziamento pubblico non riduca l'accesso agli alloggi. Nel caso di proprietari che abbiano l'affitto come unica fonte di reddito, si devono prevedere contributi o detrazioni dalle imposte.
2) Patrimonio- fondi immobiliari- finanziarizzazione
I dati sulla distribuzione della proprietà immobiliare sono pochi e poco accessibili. Eppure la loro elaborazione è chiave per comprendere come debbano essere orientate le politiche pubbliche e come si debbano erogare i fondi pubblici di sostegno all'abitare. Fino a che punto è concentrata la proprietà immobiliare? Qual è il peso della finanza internazionale nel patrimonio residenziale, sia privato che pubblico? La trasformazione di beni che rappresentano la garanzia di un diritto umano essenziale in asset per l'investimento dev'essere scoraggiata con misure legislative specifiche, anche chiarendo il ruolo di attori finanziari semi-pubblici come Cassa Depositi e Prestiti o le nuove "bad bank" che gestiscono i beni immobiliari degli enti cartolarizzati: le risorse pubbliche non possono servire a favorire il profitto privato a scapito dei diritti fondamentali; tutti gli immobili su cui si realizzano investimenti pubblici, invece, devono essere pubblici ed esclusi da ogni forma di speculazione. Contemporaneamente, è necessario regolare l'uso dei risparmi privati per la speculazione finanziaria da parte delle banche, proponendo forme di intervento nel mercato finanziario che tutelino il valore d'uso degli alloggi al di sopra di quello di scambio.
3) Articolo 5- residenze- segregazione abitativa
In contesti urbani fortemente segregati, sono sempre le aree informali ad assorbire le necessità abitative dei settori più impoveriti della popolazione: edifici occupati, aree di abitazione informale, quartieri autocostruiti o semiautocostruiti. Queste aree forniscono un servizio indispensabile a cui le istituzioni non adempiono e dovrebbero essere tutelate. La segregazione abitativa invece viene mantenuta negando agli abitanti e alle abitanti i servizi e i diritti fondamentali, ad esempio attraverso l'articolo 5 del decreto Lupi, che impedisce l'accesso alla residenza a chi vive in aree informali come le occupazioni, tagliando migliaia di persone fuori dall'accesso alla salute, all'educazione, ai diritti riproduttivi. La negazione dei diritti dell'articolo 5 colpisce anche inquilini e inquiline in nero, di fatto penalizzando chi subisce l'evasione fiscale rappresentata dagli affitti in nero, non chi ne è responsabile. È necessario invece decriminalizzare la presenza abitativa e gli usi sociali delle proprietà lasciate vuote che siano state oggetto di occupazioni o forme di abitare informale, in quanto esse rappresentano di fatto un recupero del valore d'uso degli immobili che li sottraggono alla speculazione. Progetti di riuso sociale delle strutture vuote esistenti devono essere attivamente promossi dalle amministrazioni pubbliche, e le residenze devono essere concesse indipendentemente dalla proprietà degli immobili, o dal tipo di contratto.
4) Turistificazione- gentrificazione- studentificazione
La crisi del Covid-19 ha mostrato la precarietà del modello che ha trasformato le città deindustrializzate in macchine per il profitto dell'industria turistica o del residenziale di lusso. Ma questa gentrificazione, o elitizzazione, che comporta sempre l'espulsione degli abitanti verso la periferia, non si è fermata: grandi operatori finanziari si sono inseriti nel crollo del mercato turistico per acquistare immobili di pregio nei centri storici, contribuendo a rendere le città invivibili, inaccessibili e insostenibili, provocando pesanti conseguenze sul piano sociale, ambientale e politico. Migranti, artisti e studenti vengono usati per aumentare o diminuire il prezzo degli immobili in zone specifiche, per accelerare l'espulsione degli abitanti tradizionali, solo per essere poi mandate via quando tali zone iniziano ad essere redditizie per il turismo, o per il settore residenziale di lusso. Contemporaneamente, le periferie non producono abbastanza gettito fiscale per pagare le infrastrutture, e così la mobilità necessaria a chi le abita si trasforma in necessità di ampliare la rete stradale al di là di quello che è ecologicamente sostenibile. Nel frattempo, i centri storici - la cui manutenzione è pagata con le tasse di tutti i cittadini - vengono usati per il profitto di pochi imprenditori del turismo, tra cui lo stesso Vaticano. Bisogna invertire la dinamica di espulsione delle classi popolari dai centri storici e dalle zone di pregio, tutelando il diritto all'abitare per tutte e tutti anche nelle zone di maggior valore, specialmente per le fasce più deboli e precarie, tra cui la popolazione studentesca locale e fuori sede. Questa dinamica può interrompersi imponendo una tassazione che renda meno redditizio mantenere immobili vuoti, e quindi scoraggi l'acquisto o la costruzione di case difficili da piazzare sul mercato (ad esempio, quelle di qualità troppo alta o troppo bassa) favorendo invece la reimmissione sul mercato degli immobili vuoti o occupati solo temporaneamente.
5) ERP - case popolari - sanatoria
Per fermare la crisi abitativa c'è bisogno di un milione di nuovi immobili, che devono essere reperiti senza aumentare la cementificazione di un paese - e di un pianeta - che non possono sopportare altri metri cubi di costruito. Bisogna incrementare la dotazione di alloggi pubblici attraverso un programma di acquisto o esproprio del patrimonio non utilizzato di grandi proprietari e banche. Contemporaneamente, è necessario interrompere ogni forma di privatizzazione, cartolarizzazione e svendita dei beni pubblici, anche quando mascherate da forme di "social housing" come i Piani di zona, che di fatto favoriscono la costruzione e il profitto privato. I fondi pubblici devono essere impiegati esclusivamente per la creazione e la manutenzione del patrimonio residenziale pubblico, in modo da tenere conto dei reali bisogni degli abitanti, rispondere alla richiesta di alloggi a canone sociale e ridurre i lunghissimi tempi di attesa per l’assegnazione. Chiediamo più sanatorie per regolarizzare i nuclei senza titolo con i requisiti per una casa popolare, e la trasformazione delle aree autocostruite come alloggi di necessità in abitazioni regolari tutelate come beni collettivi.
Il Convegno sull'abitare 2021 si terrà a Metropoliz
8 MAGGIO - inizio ore 10:00 CON LA PRESENTAZIONE DEL CONVEGNO, si continuerà dividendoci in 5 Commissioni (due la mattina e tre il pomeriggio) fino a sera;
9 MAGGIO PLENARIA DALLE ORE 10:00 FINO ALLE ORE 13:30
Via Prenestina, 913
00155 Roma RM, Italia