Dai rider ad Amazon: cogliere il segnale

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Lo sciopero dei rider è stato un successo. Non importa sapere quanti rider si siano effettivamente astenuti dalle consegne né quanto sia stata consistente la perdita economica inflitta agli esercenti. Ciò che conta è che lo sciopero ha messo sul piatto la necessità di tutelare questi lavoratori, assicurandogli un contratto di lavoro. Le manifestazioni hanno avuto una grande visibilità e le ragioni dei lavoratori hanno finalmente trovato la giusta risonanza.

La riuscita dello sciopero e l’arroganza delle associazioni datoriali ci dicono che la legge approvata nel novembre del 2019 ha lasciato colpevolmente indeterminata la figura del rider, continuando a considerarlo un lavoratore autonomo, sia pure coperto dalle tutele del lavoro dipendente, una formula introdotta dal Jobs Aact nel 2015, che aveva già dimostrato tutta la sua aggirabilita da parte delle piattaforme.

Ora la stessa legge del 2019 prevedeva la possibilità di introdurre un contratto ad hoc per i rider, lasciando alle parti 12 mesi per raggiungere un accordo, altrimenti si sarebbe dovuto applicare un ccnl già in essere, almeno per la parte retributiva. L'anno è abbondantemente scaduto e tutto il lavoro svolto attualmente dai rider è retribuito in modo fraudolento, perché le piattaforme avrebbero dovuto provvedere a riconoscere un compenso parametrato ai minimi tabellari del ccnl della logistica, che è quello che corrisponde alla loro tipologia di lavoro.

Ma quando le leggi vengono scritte per non disturbare i padroni sono mille le possibilità di aggiramento. Esattamente come per la norma del Jobs Act di Renzi sul lavoro in collaborazione (quella richiamata sopra), anche la legge Conte/Catalfo sui rider aveva le maglie così larghe da permettere all’Ugl e alle associazioni datoriali di inventare un ccnl “per lavoratori autonomi", una sorta di ossimoro che salva la forma ma certamente non la sostanza.

Il contratto sottoscritto da Ugl è oggi uno dei tantissimi contratti di comodo, regolarmente depositati al Cnel e che continuano impunemente a funzionare su tutto il territorio nazionale. Che il Ministero del Lavoro sia dovuto ricorrere a una circolare (la 17 del 19 novembre 2020) per specificare che solo i contratti sottoscritti dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative possono fare da riferimento per i compensi dei rider (quindi i minimi tabellari del CCNL della logistica) è una ulteriore dimostrazione che la legge è poco chiara e lascia mille scappatoie alle piattaforme.

In questo guazzabuglio di regole, scritte appositamente per poter rimane disapplicate, stanno giocando la loro partita Cgil, Cisl e Uil. Ieri hanno sventolato le loro bandiere in difesa dei diritti degli invisibili. Un nobile proponimento che però non corrisponde affatto alle loro reali intenzioni. Ciò che a loro interessa è semplicemente riaffermare il loro ruolo anche nel settore di lavoro gestito dalle piattaforme.

Invece di battersi fin da subito, da quando l’allora ministro Di Maio aprì la discussione in pompa magna sui rider nell’estate del 2018, perché ai rider venisse riconosciuto il contratto della logistica (qual è la differenza sostanziale tra il lavoro di un driver, un autista che consegna i pacchi con il furgone, e un ciclofattorino che li consegna con lo scooter o con la bicicletta, se non le condizioni di lavoro senz’altro più pesanti e più rischiose?), Cgil, Cisl e Uil hanno sempre ammiccato al riconoscimento del carattere autonomo di questo lavoro. Ora che la giurisprudenza sembra dargli torto, ripiegano sulla formula Ugl, cioè sull’idea di inventare un contratto ad hoc solo per i rider, che non solo non potrà che essere peggiorativo rispetto a quello della logistica, ma soprattutto dovrà prevedere una serie di specificità (soprattutto in materia di flessibilità), utili a facilitare la diffusione del lavoro gestito dalle piattaforme. Una nuova formula che, salvando le apparenze del lavoro subordinato, favorisca la penetrazione delle piattaforme ben oltre il settore della sola consegna del cibo.

Certo per un rider, soprattutto se migrante, un brutto contratto è sempre meglio di nessun contratto. Può rappresentare un punto di partenza per proseguire la lotta ed è funzionale al permesso di soggiorno. Ed è questo il motivo per cui Slang USB ha sostenuto lo sciopero e la mobilitazione a Palermo come a Trieste. Occorre prendere atto della debolezza in cui si trovano “gli ultimi”. Ma occorre anche avere coscienza di come questa debolezza possa tornare funzionale ai piani del padrone e cercare di sottrarsi a questo gioco delle parti, tra sindacati complici, datori di lavoro e governo, che sta stritolando decine di migliaia di rider. Per farlo la parola d’ordine è quella dell’applicazione del contratto, che non può che essere quello della logistica.

Peraltro, è proprio nella logistica che si sta giocando adesso la partita del rinnovo contrattuale, con la pesante influenza di Amazon su tutti i processi di riorganizzazione del settore. Esisterebbero quindi anche sul piano formale tutte le condizioni per affrontare la questione in modo non separato, cogliendo il nesso che esiste tra la filosofia di Amazon, che punta ad estromettere il sindacato dalle relazioni con il personale, e quella delle piattaforme che, con l’individualizzazione del rapporto di lavoro, vanno nella stessa direzione.

Non è casuale che lo sciopero dei lavoratori di Amazon si sia svolto quasi in concomitanza con quello dei rider: un segnale importante per chi ha a cuore la ricostruzione del sindacato conflittuale e di classe in questo paese.

Slang USB

27-3-2021