Fondo di solidarietà alimentare ai Comuni: chi ne usufruirà davvero?
Da questa mattina molti cittadini ci stanno contattando per chiedere chi potrà accedere alla misura di sostegno stabilita dall’ordinanza n.658 della Protezione Civile: 400 milioni di euro per fare fronte agli immediati bisogni di fasce di popolazione che, a causa dell’emergenza Covid19 , si trovano a fare i conti con la mancanza delle risorse minime necessarie a soddisfare i bisogni primari.
Molte sono le categorie di cittadini potenzialmente coinvolte dalla misura. Si pensi, ad esempio, ai tanti lavoratori che a causa della chiusura delle attività economiche hanno subito una brusca contrazione del reddito.
Saranno i comuni, attraverso i servizi sociali, a gestire l’erogazione di questi fondi per mezzo della somministrazione di buoni spesa utilizzabili presso degli esercizi commerciali convenzionati. Una sorta di social card di emergenza.
Ma entriamo nel merito.
Le amministrazioni locali, attraverso un avviso pubblico, informano la cittadinanza che sarà possibile presentare un’autodichiarazione per l’assegnazione di buoni spesa finalizzati all’approvvigionamento di alimenti, beni di prima necessità e farmaci, fino all’esaurimento dei fondi assegnati ad ogni comune. Per l’accesso a questo contributo vengono presi a riferimento alcuni requisiti relativi alla composizione del nucleo familiare e alla situazione economica familiare.
Criterio di esclusione dalla misura è il possesso di patrimoni mobiliari (conti correnti, depostiti, etc) superiori ad una cifra stabilita discrezionalmente da ogni comune. Altrettanto discrezionale è l’entità del contributo assegnato ad ogni famiglia.
Ciò che osserviamo dalle prime disposizioni comunali pubblicate, è una completa disomogeneità nella definizione del tetto massimo del patrimonio mobiliare tra un comune e l’altro.
A titolo di esempio, ci troviamo dinanzi a comuni per cui il tetto massimo per l’attribuzione del sostegno è di 500 euro per famiglia, e ad altri per cui è di 10.000 euro. O ancora, situazioni per cui famiglie che versano nelle stesse condizioni per composizione del nucleo e situazione economica, ma residenti in comuni diversi, hanno diritto a sostegni di entità diversa.
La questione dei depositi bancari ha già rappresentato nell'attribuzione del RdC, prima dell'emergenza da Covid-19, un odioso paletto. Perché non solo includeva nel calcolo i depositi del 2018, penalizzando chi successivamente si è trovato incolpevolmente in condizioni di difficoltà, ma calcolava come patrimoni mobiliari anche i buoni intestati ai figli minorenni incassabili solo dopo il 18° anno d'età.
Il primo problema è quindi la disomogeneità nella definizione dei requisiti di accesso alla misura.
Valutiamo troppo restrittivi i criteri di accesso, sia per i motivi citati, sia per l’esclusione di chi già è beneficiario di un sostegno al reddito. Ciò potrà comportare una riduzione della platea dei destinatari, escludendo alcuni potenziali soggetti che in questo momento si trovano in situazioni di estrema povertà.
Spesso si parla dei percettori di Naspi o di RdC come di una platea omogenea, che percepisce le stesse cifre o che comunque non va mai al disotto dei 780 euro.
La realtà è molto differente, esistono percettori di RdC (moltissimi) che lavorando con prestazioni occasionali, contratti part-time, lavori stagionali, ambulanti ecc. ecc. hanno percepito fino ad ora cifre che vanno dai 40 ai 200 euro mensili.
In questa situazione di emergenza, con i criteri che molti comuni hanno stabilito, verranno esclusi dai bonus spesa, quando probabilmente saranno la categoria più esposta.
Dovrebbero aggiornare il modello Isee e rinnovare la domanda, cosa che di norma ha dei tempi che variano dai 30 ai 60 giorni, in questa fase di sovraccarico del portale INPS e con i CAF chiusi a causa del Covid-19 potrebbero aspettare più del necessario.
Stesso vale per i percettori di Naspi che per il primo mese potrebbero vedersi riconosciute cifre sotto i 200 euro, che si adegueranno agli stipendi solo nei mesi successivi.
E qui il secondo problema.
Non è chiaro come verranno utilizzati i fondi residui, se rimarranno nelle casse comunali impegnati al sostegno al reddito dei cittadini o potranno essere utilizzati per altre finalità.
Lasciare alla completa discrezionalità degli amministratori locali la distribuzione di questi fondi, espone ad un evidente rischio che si ingenerino dinamiche clientelari, e che tali assegnazioni vengano effettuate sulla logica dell’accrescimento del consenso politico.
Di certo con questa misura si è deciso di decentrare la gestione degli aiuti economici dal Governo centrale alle amministrazioni locali, mettendo di fatto i sindaci nella situazione di dover controllare, con enorme potere ma anche con grandi rischi, il fondo a sostegno dei propri cittadini.
Ad una situazione di emergenza di tale portata, non possiamo rispondere con misure tampone gestite in modo periferico dai comuni.
L’epidemia sta mettendo a rischio la stabilità sociale del Paese e occorre rispondere con misure strutturali che impediscano il repentino scivolamento verso la povertà di un enorme numero di persone.
Per questo sosteniamo che la risposta più efficace all’emergenza sociale Covid19 sia l’estensione dei criteri di accesso al reddito di cittadinanza, misura di cui già disponiamo. Intanto però dopo l'accesso ai buoni spesa per chi non ha alcuna forma di sostegno al reddito, va garantito anche a chi è subito a ridosso di questa fascia di estrema povertà, facendo in modo che i comuni utilizzino queste risorse solo ed esclusivamente allo scopo di sostenere famiglie e lavoratori in questo momento drammatico.
Non basta spostare il problema dal Governo ai Comuni, bisogna intervenire con coraggio attuando misure sociali adeguate alla condizione che stiamo vivendo.
USB Federazione del Sociale